Esaltazione della Santa Croce
Omelia
(Polsi 2018)
Celebriamo oggi la festa liturgica dell’Esaltazione della Santa Croce. Una festa che qui a Polsi ha un significato speciale, perché è al rinvenimento della croce da parte di un pastorello di Santa Cristina d’Aspromonte che si legano le origini del nostro santuario della Madonna della montagna. Ci chiediamo cosa può significare “esaltare” la croce qui a Polsi? Esaltare vuol dire «innalzare», sollevare in alto, innalzare a una suprema dignità, nobilitare, onorare, glorificare. Ciò che è paradossale è che noi esaltiamo una CROCE, non una cosa che piace, una persona che si ammira, un evento che si celebra. Eppure, per quanto possiamo essere uomini e donne di fede non siamo affatto innamorati della sofferenza e del dolore, tanto da esaltarli. Nessuno ama il dolore come tale. Lo si accetta solo per amore. Penso al sacrificio di don Puglisi, il sacerdote del quartiere Brancaccio in Palermo, massacrato dalla mafia il 15 settembre 1993 e beatificato il 25 maggio 2013. Don Pino sorrise al killer che gli sparò sotto casa. Quel suo sorriso esprime la gioia di chi paga con la vita la scelta di servire la comunità sino al sacrificio della vita. Quelle sue parole: “Me lo aspettavo”. Me lo aspettavo prima o poi perché il mio servizio di amore alla comunità non può essere senza l’impegno della vita. Don Pino Puglisi era un sacerdote innamorato di Gesù che ha messo in pratica le parole: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.”. Come don Puglisi tanti altri, sacerdoti, uomini e donne, martiri per amore della giustizia e della pace. Portare la croce con Gesù vuol dire amare come ha amato Lui.
La Croce di Polsi attira in molti. Qui viene il devoto umile, il povero ed il sofferente, il giovane e l’anziano. Viene il debole, l’uomo di fede, come anche chi ha consumato delitti ed ha nel suo cuore il male. Polsi è una rete gettata nel mare, che raccoglie pesci buoni e pesci cattivi. Polsi è un campo ove germoglia il buon seme, ma anche le erbacce. Polsi è tutto questo. Qui viene un’umanità ferita, una comunità santa e peccatrice nello stesso tempo. Qui è presente tutta la comunità credente, che porta dentro di sé le ferite e le conseguenze del peccato. Qui si viene perché è possibile incontrare la salvezza. Se si viene con fede, con la fede di chi crede che l’amore è più forte del peccato e del male. Per questo esaltiamo la Croce, perché attraverso di essa, possiamo incontrare pace, perdono e riconciliazione, possiamo divenire un’umanità nuova.
Da Polsi non si può ritornare con sentimenti di male. Il vero pellegrino e devoto di Maria torna da Polsi riconciliato. Non avrebbe senso venire a Polsi e ritornare col peso dei propri peccati.
Dico a tutti: A Polsi si viene da Maria per incontrare l’amore di Dio. Qui si può incontrare un Padre benevole e misericordioso, un Dio che salva, che ricrea un’umanità nuova. Di fronte a questo Dio il male e la mafia cedono, non hanno l’ultima parola sulla nostra storia. Venendo a Polsi non perdete il viaggio, la fatica e il sudore del lungo e difficile viaggio, se confessandovi pentiti del male fatto ritornate a Dio.
Cari fratelli e sorelle, ascoltiamo Papa Francesco che ci dice: “Guardiamo alla croce, sulla quale il Figlio di Dio è morto per la nostra salvezza. Essa è la risposta di Dio al male e al peccato dell’uomo. È una risposta di amore, di misericordia e di perdono. Mostriamo questa Croce al mondo e glorifichiamola nei nostri cuori, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità”.
Su quella Croce posta in alto ha trovato compimento un amore portato fino in fondo. Su quella Croce Gesù è salito «perché nessuno si perda e perché ciascuno viva» (Gv 6,39). “Per essere guariti dal peccato, guardiamo il Cristo crocifisso!” (sant’Agostino).
Fare festa intorno al Crocifisso ed “esaltare la Croce”, vuol dire “esaltare” lo stile di vita di Cristo, che è stile di vita fatto di amore portato alle estreme conseguenze. E il nostro mondo, oggi più che mai, ha bisogno di gente che, con la sua vita e con le sue scelte, a costo di essere messo in Croce, denunzia le logiche contrarie a quelle dell’amore che si dà fino a finire sulla Croce. Se noi, credenti in Gesù Crocifisso, non orientiamo tutta la nostra vita all’amore, un amore vissuto, donato e testimoniato tradiamo noi stessi e la nostra fede.
Siamo qui, oggi, a Polsi, per dire a Gesù Crocifisso che vogliamo essere suoi discepoli; sapendo che ciò vuol dire combattere, come Lui, una lotta gioiosa con le armi della carità contro lo strapotere di chi offende la giustizia e la speranza, contro l’arroganza di chi fa della violenza la sua arma preferita.
Francesco Oliva, Vescovo di Locri-Gerace