(con la lavanda dei piedi ai detenuti della Casa circondariale di Locri)
Con questa celebrazione iniziamo il Triduo Pasquale, cuore della nostra fede cristiana. Riviviamo i momenti culminanti del mistero pasquale: Cristo dopo aver sofferto la passione e morte risorge dai morti. E’ questo l’evento di cui non solo facciamo memoria, ma che vogliamo vivere con Lui. A cominciare da questa sera: la sera che Gesù trascorre a tavola con i suoi discepoli condividendo con loro l’ultima cena, ma anche il tradimento di uno di loro. Amicizia e tradimento che s’intrecciano drammaticamente. Un momento conviviale in cui Gesù consegna il suo testamento spirituale compiendo due significativi gesti: spezzare il pane con i discepoli e lavare loro i piedi. Sono due gesti che sintetizzano la sua vita spesa per amore.
Il primo gesto: Gesù spezza il pane con i discepoli chiedendo loro di ripetere questo gesto in sua memoria. Il pane spezzato è il segno di una vita interamente donata: Gesù non dona qualcosa di sé, ma dona se stesso, la sua vita. Si offre come vittima sull’altare della Croce. Non c’è amore più grande del dare la vita, tutto se stesso. Ogni volta che farete questo fatelo in memoria di me. Non si tratta di un gesto isolato, ma di un gesto che continua nel tempo e nella vita di ogni uomo. Gesù spezza ogni giorno il suo pane, la sua vita con noi e per noi. Gesù in persona, non una sua rappresentazione, è presente e si dona. E’ il dono dell’Eucaristia che si perpetua nel tempo, il dono di Dio che ama infinitamente. E ci indica la via: “Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi“. L’amore non può essere comandato, ma quando si segue questa via, si vive la felicità già su questa terra.
Il secondo gesto: la lavanda dei piedi è conseguenza del primo. Gesù manifesta la via dell’amore attraverso il servizio. L’amore vero non cerca onori, privilegi, non chiede di essere servito e non cerca servitori, ma si mette a servizio. “Non sono venuto per essere servito, ma per servire”.
Ecco il grande insegnamento per noi: con l’amore possiamo distruggere il male, ritrovare la speranza, che ci porta a guardare oltre il male commesso. Non ci abbandona a noi stessi e ai nostri peccati. “L’hai fatto, ora devi pagare”. Dio indica la via dell’amore, del servizio e del perdono come via di redenzione e di salvezza. E’ possibile sbagliare, ma abbandonando la via del male e incamminandosi su quella del bene si ritrova la propria felicità. Ecco il vero discepolo del Signore: colui che fa quello che dice il Maestro: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri“.
Oltre il male commesso: è possibile passare oltre, guardare oltre il male commesso. Il male commesso non può essere l’ultima parola sulla vostra vita. Rinnegatelo: è possibile! Si può ricominciare. C’è chi vi aspetta e desidera che siate liberi dal male. Cosa il Signore chiede a me, a te, ora ed in questo luogo? Ti dice: “hai peccato? vuoi uscire dal tuo peccato? Io ti perdono, ma non lo fare più”. La volontà di uscire dal male fatto implica anzitutto la riprovazione del male commesso senza cercare di scaricarne la responsabilità sugli altri o andare alla ricerca del responsabile al di fuori di se stessi (“sono io che l’ho fatto, non altri”). Occorre riconoscere che le azioni cattive hanno fatto male al fratello e alla comunità, oltre che a se stessi e alle persone care.
Non avere timore di batterti il petto. Lo facciamo tutti come cristiani. Prima di iniziare la celebrazione della messa ci battiamo il petto tre volte: la prima, perché ho fatto quello che non dovevo fare (il male che fa sempre male); la seconda, perché sono stato cattivo nel fare agli altri quello che non avrei desiderato che gli altri facessero a me; la terza, perché col male che ho fatto ho rovinato ciò che era bello, buono e giusto, ho agito contro la volontà di Dio. Insomma, mi sono rovinato da solo. Il pentimento così espresso porta al cambiamento. Questa celebrazione stasera c’invita a tornare al Signore, lasciando che ci lavi tutto, dalla testa ai piedi: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!», come dice san Pietro.
E’ questo il messaggio della Pasqua: risorgere con Cristo e rinascere con Lui, purificati dal peccato e dal male, passare dalla morte alla vita, dal carcere alla libertà, dalle tenebre alla luce. Sant’Agostino definisce la Pasqua come il passaggio dei cristiani (transitus christianorum). Fare Pasqua è passare, come il Maestro, in quella notte del sabato, dalle tenebre alla luce, dal peccato alla vita nuova.
Francesco Oliva, Vescovo di Locri-Gerace